L’origine del gin è ancora tutt’oggi dibattuta e contesa fra Olanda e Inghilterra, anche se vi sono diverse testimonianze dell’esistenza di un proto-gin italiano. Si riportano alcune date considerate salienti per la comprensione della storia del gin.
XI secolo
La Scuola di Salerno, punto nevralgico per lo studio della medicina, della distillazione e delle erbe, sviluppa secondo la tradizione un macerato in vino con bacche di ginepro che poi verrebbe distillato. Non possiamo ancora parlare di gin poiché, ad oggi, il macerato deve avvenire in alcol e non in un fermentato.
1269
Jacob Van Maerlant, naturalista olandese,nel suo I fiori della natura del cita un proto jenever ottenuto distillando vino aromatizzato con bacche di ginepro.
1500
Hieronyus Brunschwig nel suo libro postumo, pubblicato nel 1500, il Liber de ars dististillandi de semplicibus sopravvissuto in poche copie originali descrive anche la lambiccata di un macerato in spirito di vino (un alcol pressoché puro ottenuto dal vino) delle bacche del ginepro.
1552
Nel rarissimo libro DistilleerBoek di Philippus Hermanni del 1552, compare un genever a base di alcol di vino.
1555
Nel libro De Secreti di Alessio Piemontese, al secolo Girolamo Ruscelli compare una ricetta di bacche di ginepro insieme ad altre piante aromatiche che sono macerate in alcol e distillate per ottenere un’acqua di vita trasparente come un cristallo.
1561
Un altro libro di segreti, questa volta scritto da Isabella Cortese, compare una ricetta Contro la peste ed il veleno che ha come principale ingrediente le bacche di ginepro, da sempre considerate un rimedio per malocchio e veleni.
1618-1648
In alcuni testi degli anni Settanta si legge che la transizione del jenever da Olanda ad Inghilterra sarebbe avvenuta durante la Guerra dei Trent’anni. Viene soprannominato anche “dutchcourage” dai soldati inglesi, che ammiravano il coraggio e l’ardore delle truppe olandesi. Terminata la guerra si inizierà a produrlo anche in Inghilterra con caratteristiche diverse. Secondo una tesi molto più probabile la conoscenza fu semplicemente frutto degli scambi commerciali fra le due principali potenze commerciali dell’epoca.
1658
Tradizionalmente si attribuisce a Franciscus Sylvius de Boe, medico naturalista olandese, ma di origini francesi, la creazione un diuretico a base di bacche di ginepro puramente con scopi medicinali. Ma ormai questa teoria presente su molti testi di bar fino agli anni Novanta e talvolta ancora riproposta da qualche giornalista distratto è ormai superata dai ritrovamenti recenti. La rarità di certi libri, citati precedentemente, comparata con la facilità di reperire invece le opere di De la Boe, conosciuto anche per i suoi studi sul cervello umano, hanno alimentato questa ipotesi.
1714
Il nome “gin” comparve per la prima volta su un testo dell’inglese Bernard Mandeville.La conoscenza del distillato a base di bacche ginepro è ampiamente diffusa in Europa.
1757
Ambrose Cooper nel suo Complete Distiller, mette su carta il sapere maturato in oltre un secolo della Workshipful Company of Distiller fondata a Londra. Ovviamente c’è una ricetta di gin sia la cui base alcolica e sia cerealicola che vinosa.
1769
Viene fondata la prima distilleria inglese, la Gordon’s, il cui proprietario ha origini scozzesi. Questa apertura ufficiale mette fine ad un lungo periodo di illegalità fatto di distillerie clandestine e prodotti di bassissima qualità. Secondo alcune fonti la Gordon’s non sarebbe la prima distilleria, ma la Philip Boots del 1740 che però venne registrata, per problemi che non sappiamo, solo dopo quella di Gordo.
1813
Viene brevettata la prima colonna da Cellier Blumenthal. Da qui in poi sarà un continuo migliorare delle prestazioni sino a raggiungere i 96,4 gradi alcolici attuali. Nel mondo anglosassone il brevetto più famoso è di Eaneas Coffey. Grazie alle colonne l’alcol usato nella macerazione delle piante aromatiche diventa più puro dando così maggiore rilevanza alla ricetta ed al suo equilibrio.
L’era del gin moderno è iniziata.
1857
Pietro Valsecchi pubblica il Distillatore Liquorista dove viene descritta la produzione di Gineprine d’Olanda o Ginevra, e Gin confermando l’esistenza delle due scuole.
1896
Luigi Sala da alle stampe il suo Liquorista Pratico dove si segnala la produzione di un gin composto a freddo senza il concorso dell’alambicco. In pratica la conferma che la produzione del compound era probabilmente alla base dello stile produttivo italiano. Il nostro paese ha sempre avuto una grande tradizione produttiva su grappa e brandy mentre ha quasi sempre tralasciato, escluso qualche caso come Centerbe ed Alpestre la distillazione delle erbe.
1930
Esce il libro di Vandone, il Manuale del liquorista. Con l’autarchia ed il successo della miscelazione del gin, soprattutto con il nostro cavallo di battaglia, il vermouth, nascono decine e decine di etichette di gin italiano, prodotto quasi sempre con metodo compound da moltissime distillerie.
1953
Renato Dettori, presidente della Federvini sostiene nel suo Vini e Liquori d’Italia che il gin è uno dei prodotti di punta ed altamente qualitativi dell’industria italiana.
Nel resoconto storico si tiene conto solo delle testimonianze legate alla produzione, con una particolare attenzione alle vicende italiane, e non dei vari fenomeni tipo Gin Craze (la follia del gin) e delle varie tasse ed editti (Gin Act) destinati a morigerarne il consumo in Inghilterra, poiché non sono di interesse ai fini della ricostruzione storica.
Il gin si ottiene a partire da:
- Alcool di origine agricola, solitamente di origine cerealicola per via della sua maggiore neutralità al gusto.
- Bacche di ginepro, che da disciplinare devono costituire la principale nota aromatica nettamente percettibile.
- Spezie, senza limitazioni particolari se non il gusto del distillatore. Abbiamo avuto negli anni aromatizzazioni piuttosto fantasiose, dalle alche dell’oceano all’acido formico prodotto da alcune formiche rosse.
Tra le spezie classiche, utilizzate per la produzione classica, si ritrovano: coriandolo, cardamomo, angelica, cannella, pepe, iris, scorze di agrumi.
In genere in gin tradizionali avevano poche piante, coadiuvanti del ginepro, solitamente coriandolo ed angelica. Secondo il master distiller è infatti molto difficile e laborioso centrare ogni volta un gusto costante quando in gioco ci sono troppe variabili aromatiche.
L’alcool base deve essere per disciplinare di origine agricola, solitamente proviene dalla distillazione in continuo di cereali, in grado di dare un alcool dalle caratteristiche neutre e dall’elevata gradazione (96,4%a volume). Ma nulla impedisce di usare come accade per alcuni gin, un alcol da patate, mele o vino. Più rare altre materie prime come melasso, miele o altra frutta.
Sono diversi i metodi di distillazione possibili, così come i processi di macerazione per le spezie.
Il risultato dell’infusione di erbe e spezie in soluzione idroalcolica può essere distillata in alambicco discontinuo, dopo aver abbassato la sua gradazione fino a 20-25% vol/vol per permettere allo strumento di lavorare.
Un’altra via possibile è quella dell’uso di cestelli e carter head, che permettono di lavorare in corrente di vapore, sia con acqua che con acqua e alcool. Le erbe e spezie sono poste in cestelli sovrapposti e sono attraversate dal vapore, dando il vantaggio che queste non rimangono immerse nel liquido durante il riscaldamento. Il carter head è costituito da un numero più elevato di cestelli sovrapposti, con il vantaggio di avere temperature diverse fra i diversi livelli, che permette un’estrazione più delicata di alcune spezie.
Soluzione più moderna è l’alambicco sottovuoto, in grado di abbassare la temperatura di distillazione da 78°C fino a 50°C, e di conseguenza, di essere meno aggressivo nei confronti degli aromi.
Infine abbiamo il rotavapor, un concentratore usato in farmacia per calcolare i residui secchi dei composti, che permette di far evaporare l’alcol anche a temperature inferiori. In questo modo si possono distillare con successo ortaggi e fiori che altrimenti sarebbero bruciati o cotti dalla temperatura seppur bassa dell’alambicco classico sottovuoto.
Per quanto riguarda invece la lavorazione delle spezie ivi compresa la bacca di ginepro, possono subire un processo di macerazione mista oppure separata. Con macerazione mista si intende l’infusione di una miscela in un unico contenitore, con una soluzione idroalcolica la cui gradazione può variare a seconda delle esigenze. La macerazione separata invece prevede l’infusione separata dei diversi ingredienti, ognuno dei quali a gradazioni alcoliche e tempi di macerazione dedicate in base alla loro texture e fragranza. Questo metodo, decisamente più gravoso in termini di costi, è poco utilizzato.
La gradazione minima finale sul disciplinare è di 70 gradi, mentre non viene indicata una massima. Ma trattandosi di un alcol aromatizzato avrebbe poco senso avere degli alcol eccessivamente raffinati.
Il gin deve avere una gradazione minima di 37,5% a volume, mentre solitamente il massimo è di 57% a volume gradazione anche detta Navy Strengh ma non esiste un limite a disciplinare.
La definizione del Gin da disciplinare europeo:
Gin Composto o Compund, bevanda spiritosa, ottenuta mediante aromatizzazione con bacche di ginepro di alcool di origine agricola e facoltativamente di altre piante aromatiche. Nella sua produzione si possono usare sostanze aromatizzanti o preparazioni aromatiche (alcolati o tinture) mescolati a freddo ma nella quantità tale da lasciare il ginepro come elemento sensoriale dominante. Sulle etichette compare solitamente solo la scritta Gin potendo omettere Compound o Composto.
Gin distillato:ottenuto esclusivamente mediante distillazione di alcole etilico di origine agricola con un titolo alcol metrico iniziale di almeno 96 gradi, in presenza di bacche di ginepro e di altri prodotti vegetali naturali, a condizione che il gusto di ginepro risulti predominante.E’ permessa la combinazione di tale distillazione con alcol etilico di origine agricola di uguale purezza e titolo alcolometrico.
Per l’aromatizzazione del gin distillato possono essere impiegate sostanze aromatiche o preparazioni aromatiche che possono essere aggiunte successivamente alla distillazione. In questo modo potremo avere gin colorati ed aromatizzati con frutta, fiori, erbe che, se fossero messi nella caldaia dell’alambicco non potrebbero apportare la loro fragranza o pigmentazione. E’ il caso del gin azzurro al Butterflies Flower, giallo allo zafferano, rosa ai lamponi o al gambo di rabarbaro, verde al basilico sacro o giallo alle scorze di limoni.
London Dry Gin: ottenuto esclusivamente mediante distillazione di alcole etilico di origine agricola, con un titolo alcol metrico iniziale di almeno 96 gradi, in presenza di bacche di ginepro e di altri prodotti vegetali naturali, a condizione che il gusto di ginepro risulti predominante. Non è permessa l’aggiunta di nessuna altra sostanza successivamente alla distillazione. Si possono aggiungere solo elementi neutri come acqua ed alcol etilico di origine agricola per diluire il risultato. Il numero diluizioni è discrezionale, ci sono London Dry che vengono prodotti ed imbottigliati ed altri che possono essere diluiti dalle 10 alle 20 volte. Tutto dipende dalla quantità di piante aromatiche poste in alambicco e epertanto dalla concentrazione dei principi aromatici.
Per godere della dicitura Dry la presenza dello zucchero deve essere solamente dello 0,1% sul prodotto finito e deve essere di origine naturale e non aggiunto.
Pertanto l’aggiunta di zucchero è legale nelle quantità permesse dai disciplinari di acquaviti e distillati europei pari a 20 grammi litro.
Tipologie di gin non determinate da un disciplinare:
Questi gin sono presenti sul mercato ma non hanno un capoverso del disciplinare a loro dedicato, ma talvolta si trovano queste diciture in etichetta.
Blended Gin: ottenuto mescolando distillazione separate di diverse erbe e spezie. Questo per avere il massimo da ognuna di esse. Possono essere della singola pianta o di gruppi botanici omologhi come agrumi, legni o bacche. E’ una nuova tendenza e di fatto una evoluzione più costosa, ma di fatto ancora assimilata al compound gin.
Plymouth: unica doc del gin, decaduta con la Brexit. Il nuovo disciplinare 2019 infatti non ne fa più menzione. La sua area produttiva è l’omonima città. Il metodo produttivo con alambicco discontinuo mentre la ricetta è segreta anche se ha una spiccata morbidezza che fa pensare alla presenza della liquirizia. Molto famoso il Navy Strenght a grado pieno (57% vol/vol)usato storicamente anche per uso esterno, come solvente e disinfettante.
Old Tom: ottenuto per distillazione a caldo, si contraddistingue per la tendenza dolce che tradizionalmente era ottenuta con l’uso della liquirizia o con semi di finocchio, nell’infuso iniziale, mentre oggi è possibile aggiungere zucchero fra il 2 ed il 5%.
Sloe gin: ottenuto con l’aggiunta di bacche di prugnolo in infusione, dal grado più basso (minimo 25 gradi da disciplinare) leggermente dolce (minimo 100 grammi di zucchero) e acidulo.
Il gin, nella sua declinazione Sloe o Old Tom, sono indicati per concludere pasti che abbiano visto come protagonista piatti di carne, le cui spezie ricordino quelle del distillato, utilizzato come prodotto da meditazione, magari servito fresco. Anticamente svolgevano la funzione digestiva e diuretica dopo pasto.
Lo Sloe può anche abbinarsi a marmellate di piccoli frutti rossi o al mirto, a crostate di frutta, o in accompagnamento con un piatto di cervo e riduzione di ribes come in uso nei paesi del Nord Europa.
Carni di cinghiale o maiale, condite con bacche di ginepro o mirto posso ben supportare un gin tonic leggero o un sorbetto corretto.