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Vermouth di Torino

1404
Torino diventa sede di università. Fortemente voluta per via della sua posizione strategica al centro del crocevia fra Francia e Svizzera, avrà una cattedra di teologia, diritto canonico e medicina. Pur fra mille difficoltà dovute a guerre e carestie, qui si laureerà Erasmo da Rotterdam nel 1506.
Le basi per l’eccellenza erboristica torinese sono state poste.

1443
un documento daziale tassa la produzione di acquavite da Barbera e Moscato. E’ uno dei primi mai ritrovati ed attesta come in Piemonte vi sia una forte conoscenza della distillazione, che sarà funzionale, come vedremo allo sviluppo del vermouth. L’alcol infatti è il solvente per la macerazione delle erbe e l’elemento fortificante del vino.

1541
viene pubblicato il De Re Coquinaria una raccolta di ricette attribuite a Marco GavioApiciogourmand romano vissuto a cavallo del I secolo a.C e I secolo d.C.
Questo libro contiene una ricetta di vinumabsinthiatum a base di erbe e spezie, utilizzata probabilmente a scopi digestivi. L’assenzio è ovviamente è il principale aromatizzante.

1549
Costantino Cesare nel suo De Notevoli ed Utilissimi ammaestramenti sull’agricoltura descrive la preparazione di un vino all’assenzio tipico delle campagne italiane per curare i problemi di stomaco ed intestino, come vermi e infezioni.

1555
Nostradamus pubblica le sue profezie. Torino, nonostante non sia poco più che un villaggio, rispetto ad altre città italiane, viene citata più volte di qualunque altra. Di li a pochi anni diventerà infatti capitale della Savoia, e poi secoli dopo, d’Italia.

1563
Emanuele Filiberto porta la capitale della Savoia da Chambery a Torino. Bioca’dfer, Testa di ferro, così sarà soprannominato per il suo carattere duro e testardo, farà nascere la leggenda delle Grotte Alchemiche.
Posizionate sotto Piazza Castello, la leggenda narra che il “Focho (degli alambicchi) ardesse la notte ed il giorno”. Suo padre Carlo II che trasmise al figlio la passione per l’alchimia portò, secondo la tradizione, il più grande alchimista ed erborista del tempo, Paracelso, a Torino.

1566
Torino ha la sua “Lettura dei Semplici” un primordiale orto botanico che sarà poi istituito ufficialmente solo un secolo e mezzo dopo. Degno di nota è il numero di farmacie che già operano a Torino all’epoca, ben 24 farmacie speziali, aderenti al Collegio, da cui la loro denominazione “della Collegiata”.

1570
Giovan Vittorio Soderini nel suo Trattato sulla coltivazione delle vite e del frutto che se può cavare dice “Usano i Germani ed in Ungheria ancora si fa vino d’assenzio, rosmarino e salvia” da qui deriva il nome wermutwein.  Le erbe erano messe nel vino in fermentazione per sfruttare il naturale bollore del mosto per rimestarle al meglio.
Il trattato infatti fu ristampato più volte, fino al Settecento, segno di un ottimo successo.
I Savoia da sempre legati con la corte austriaca e desiderosi di sottolineare le loro origini teutoniche probabilmente favorirono la loro diffusione.

1583
Carlo Emanuele di Savoia emana un editto per favorire l’insediamento di opifici e liquorerie a Torino, offrendo uno sconto sulle tasse. Questa azione è mirata a fare accresce importanza e popolazione della capitale della Savoia, decisamente inferiore alle confinanti Asti e Vercelli. L’editto ha successo e di li a poco nascerà  la Contrada Dora Grossa, che sarà la prima sede di molti vermuttisti e distillerie.

1585
Castore Durante, medico romano, descrive nel Herbario Nuovo, la produzione di un vino all’assenzio per “provocare l’appetito”.  Il testo è un’opera fondamentale poiché è il primo erbario scritto con criteri moderni, con una descrizione minuziosa della pianta e sui suoi usi.
Per la prima volta abbiamo un’evidenza dell’uso aperitivo di questa pianta il cui utilizzo, fino ad allora, era come antidolorifico, anti veleno e contro i parassiti dell’intestino.

1712
Francois Massialot scrive Nouvelle instruction por lesconfitures et liquors, probabilmente il primo testo di liquoreria moderna, dove viene segnalata in un capitolo dedicato la grande maestria dei distillatori torinesi e la bontà dei loro Rosoli.

1736
Viene stampata la Farmacopea Taurinense che contiene alcune ricette di vino all’assenzio ovviamente a scopo medico.  E’ considerata una delle più importanti mai pubblicate e conferma la vocazione erboristica della capotale sabauda. A Torino per diventare distillatore e liquorista si doveva essere anche proto medici, poiché alcune erbe utilizzate per amari e vermouth  contenevano principi tossici. Famoso era il vermouth alla noce vomica che contiene stricnina. Al suo interno ci sono due ricette di vino all’assenzio. Da qui, è facile pensare che, Carpano ed altri liquoristi, abbiano letto il testo e preso ispirazione.

1739
viene fondata l’Università degliacquavitai e dei confetturieri. Negli archivi della città si trovano ancora le prove d’esame per diventare maestro di alambicco. Da qui escono i nuovi liquoristi che renderanno grande la tradizione piemontese.

1757 viene stampato the Complete distiller di Ambrose Cooper. Il testo contiene decine di ricette realizzate con spezie distillate. A tal proposito anche sul testo inglese si menzionano i Rosoli di Torino.

1773
Villifranchi medico toscano pubblica Oenologia Toscana in cui menziona la produzione di un wermuth, assimilandolo ai vini medicinali stomatici, citati da Plinio e Dioscoride, prodotto con ottimi vini e divenuto delizia della tavola come digestivo.
Nel medesimo periodo anche in Piemonte, nel castello di Agliè ci sono tracce di vini Vermouth, ma sempre a a scopo medicinale .
ll maggiordomo lo cita nel suo inventario e dice di utilizzarlo come ricostituente i convalescenti,e per le balie che devono produrre latte.

1786
Carpano inventa secondo la tradizione, tramandata da testi successivi, come la monografia
Il Vermouth di Torino di Strucchi o il Manuale del liquorista di Maragliano dove si afferma che il padre del vermouth sia il liquorista biellese, nativo di Bioglio. Anche un articolo de La Stampa datato  1916 richiama a lui come inventore del vermouth.

1790
Viene pubblicato Il Confetturiere Piemontese un testo fondamentale per la liquoristica italiana in quanto summa del sapere della regione che aveva il maggior numero di attività legate alla produzione di vini aromatizzati, elisir e distillati.

1826
Vincenzo Agnoletti pasticcere personale alla corte di Parma di Maria Luisa di Asburgo, descrive la ricetta di un vermouth composto nel suo Manuale del Credenziere a scopo digestivo che egli stesso giudica di pessimo gusto.

1838
Il vermouth viene esportato per la prima volta al di fuori dell’Europa. La sua destinazione è il Sud America, dove risiedono moltissimi italiani, e soprattutto tanti piemontesi emigrati in cerca di fortuna. Da qui il vermouth risalirà il continente arrivando negli Stati Uniti dove diventerà il protagonista della cultura dei cocktail.

1840 la città conta 173 mila abitanti ed ha, all’interno della sua cinta daziale, ben 30 produttori di liquori e vermouth e 42 distillerie di vino. Il successo della scuola torinese crea lavoro e benessere. 

1854
Giovanni Vialardi scrive il Trattato di cucina e confettureria. Contiene la prima ricetta aperta di vermouth, utilizzata a Corte Savoia. E’ un vino aromatizzato con assenzio gentile e spezie, fra cui spicca il pepe nero.

1857
Prima evidenza della differenziazione della produzione torinese. Pietro Valsecchi autore del primo manuale di distillazione italiano conosciuto cita alcune ricette di Wermuth e ne distingue una segnalandola come “All’Uso di Torino”. Non indica altre origini, rafforzando la teoria che a Torino vi fosse uno stile diverso, che viene confermato leggendo le ricette. Quest’ultima contiene sia zucchero che alcol a fortificare il vino, a differenza delle altre che sono meno dolci e complesse a livello di piante aromatiche.

1879
Adriano Salani nel suo Manuale del Liquorista riporta alcune ricette suddividendole fra scuola toscana e torinese. I prodotti sono molto diversi. Il prodotto toscano non ha fortificazione, e non ha edulcorazione, affidata solamente al residuo zuccherino del vino.

1886
Valerio Busnelli scrive il Moderno Liquorista. Anche su questo libro si trovano ricette separate. In genere il vermouth toscano è meno complesso e dolce, come se rimanesse ancorato alla sua origine medicinale. Il vermouth di Torino è fortificato con alcol, vero elemento di successo del prodotto, in quanto la macerazione con questo solvente assicurava una maggior estrazione dei principi aromatici rispetto al vino.

1893
Gancia vince un’onorificenza a Chicago per un “Vermouth Bianco dal gusto molto fine”.
E’  primo documento ufficiale italiano sulla produzione di un vermouth bianco.
Per le sue caratteristiche organolettiche il vermouth bianco in genere avrà ottime vendite nelle colonie italiane del Corno d’Africa.

1896
Luigi Sala nel suo libro Il Liquorista, forse uno dei più importanti testi italiani di settore, afferma che la produzione di vermouth piemontese è superiore per via della maestria dei produttori e della bontà delle materie prime. L’autore afferma che i vini piemontesi sono superiori per qualità e che ogni tentativo di imitazione non ha avuto successo.

1899
Ottavio Ottavi pubblica Vini di Lusso dove colloca le origini del vermouth in Germania, accenna a produzioni sparse per l’Italia, fra cui la Sicilia divenuta famosa per i Vermouth al Marsala, ma  dà la superiorità produttiva al Piemonte.

1903
Isolabella azienda milanese brevetta il Vermouth Bianco Highlife. Di li a poco altre aziende lo faranno fra cui la Antonio Parigi di Chivasso. Questo vermouth ha un mercato fiorente nelle colonie italiane del Corno D’Africa per via del gusto più leggero e ricco di zucchero.

1906
Strucchi pubblica la pietra miliare Il vermouth di Torino. L’enologo di casa Gancia ammette che la produzione toscana in passato aveva avuto ampio credito ma che ora è stata debellata (l’autore usa questo verbo)da quella piemontese. Sua la famosa frase “Se a Torino il vermouth non ebbe i suoi natali, qui ebbe il battesimo della rinomanza”.

1908
il Piemonte, grazie ad alcune fortunate annate, ed un incremento della superficie vitata, per via del successo del Vermouth e di alcuni suoi vini, come Barolo e Moscato, raddoppia la produzione, passando da tre a sei milioni di ettolitri. Sempre in quell’anno, secondo i dati delle dogane, vengono esportati ben nove milioni di litri di vermouth. Il successo del vermouth, concomitante con quello del Moscato spumante, determina un cambio della base. I vini del sud diventano protagonisti e le cantine di Puglia e Sicilia iniziano a rifornire  le maggiori fabbriche del nord. Il Grado elevato e la struttura di questi prodotti permettono anche un sensibile risparmio di alcol per la fortificazione del vermouth.

1920 Con l’emancipazione femminile in atto nel mondo, inizia il riposizionamento strategico del vermouth bianco che da prodotto per le colonie diventa “Delizia per signore”.  Alle donne non è più proibito andare al bar da sole e si moltiplicano manifesti e pubblicità in cui le diventano protagoniste. E’ una vera e propria rivoluzione del mercato in quanto il vermouth perde la sua connotazione amara accentuata a favore dei toni floreali ed agrumati.

1935 Viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale uno dei primi disciplinari sul vermouth. Il Torino deve avere almeno 15.5 gradi e caratteristiche qualitative ben precise. Nello stesso anno Alberigo Cotone pubblica l’ultimo libro sull’argomento “Il Vermouth ed i suoi componenti” sostanzialmente una edizione riveduta e corretta del maestro Strucchi.
Alcuni suoi parametri sono inclusi nel disciplinare odierno.

1948
Martini apre la prima Terrazza a Parigi. Seguono Milano, Pessione, Barcellona, Bruxelles, Londra e Genova e 
San Paolo del Brasile.
Sono il simbolo del ritornato benessere, dell’inizio del boom economico e segnano la rinascita del vermouth. Inizia al contempo a diventare netta la strategia delle aziende che cercano di imporre il loro marchio e non la categoria vermouth.

Anni Cinquanta
Questa strategia inizia a delinearsi chiaramente. Martini lancia la pubblicità “Non chiedere un vermouth, chiedete un Martini”, Carpano spinge sulla torinesità del suo Punt e mes, mentre Cinzano lancia il Cinzanino, una monodose di vermouth.

1967
Cinzano ingaggia come testimonial Rita Pavone che ai tempi è famosissima per i suoi programmi televisivi e sfrutta un simpatico gioco di parole creato fra il marchio e le parole pronunciate nei birndisi.
“Cin Cin Cinzano” entra nelle case degli italiani diventando quasi, come si usa dire oggi, virale.

Anni Settanta ed Ottanta
Cambiano gli stili di consumo. Si impongono le discoteche, dove nei loro privè si beve champagne e miscelazione internazione, arrivano i pub dove i giovani bevono birra, ed i ristoranti alla moda sostituiscono le osterie.
Il vermouth, così come gli amari passano nelle retrovie, prendendo posto nei bar di casa, nei bar da aperitivo o nei ristoranti. I giovani tacciano il vermouth di essere un prodotto da vecchi, con uno stile di consumo superato. Sopravvivono solo i grandi marchi che mettono sul tavolo grandi budget pubblicitari, che svecchiano la loro immagine fatta di regalità e medaglie. In questo si distingue soprattutto Martini con le sue pubblicità, memorabile quella della pattinatrice per le vie di New York.
Il vermouth sopravvive grazie alla miscelazione dei grandi classici da aperitivo, Americano e Negroni.
Al contempo, per sopravvivere, molte aziende abbassano la qualità del vermouth creando l’effetto contrario, ovvero una disaffezione del cliente. La conseguenza sono centinaia di chiusure di aziende o ridimensionamento degli assortimenti, molti infatti mantengono la produzione di grappe o liquori ma cessano quella del vermouth..
Le grandi aziende reagiscono creando brand premium, è il caso di Carpano Antica Formula.

1991
Per cercare di arginare il fenomeno viene creato quello che sarà l’embrione del futuro disciplinare del vermouth di Torino.

1995
Martini lancia la pubblicità con Charlize Theron e Martini Man ambientata a Santa Margherita Ligure. Indimenticabile la scena finale con il vestito dell’attrice che rimane impigliato nella sedia.
Nasce, in qualche modo, il mito di Martini. Anche sui libri di cocktail, nei ricettari gli autori scrivono Martini Rosso e non più Vermouth Rosso per Negroni o Americano. Punt e mes rivendica la sua presenza nel Milano Torino ed Antica Formula si impone come prodotto premium, ma nulla può contro la Casa di Pessione che diventa egemone sul mercato.

2010
Al Salone del Gusto di Torino viene riproposta da Cocchi la prima etichetta che riporta in auge il Vermouth di Torino.

2014
La rinascita del Vermouth di Torino risulta evidente. Una ripresa della miscelazione classica, iniziata in America, raggiunge l’Europa grazie al lavoro dei ragazzi del Jerry Thomas di Roma. I libri di Wondrich, Ted Haigh e gli articoli di Jason Wilson sul Washington Post confermano che il vermouth è tornato grazie alla riscoperta dei cocktail quali Manhattan e Hanky Panky. Il Negroni diventa un classico, grazie al lavoro di ricerca di Luca Picchi, scrollandosi di dosso l’etichetta di un cocktail per “fare serata”.

2017
Il 22 marzo 2017 verrà ricordato come il giorno dell’approvazione con il decreto 1826 del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali del Disciplinare di produzione.
Questo protegge la denominazione Torino la distingue dalla più ampia categoria di vermouth.
Il 9 aprile viene presentato ufficialmente il disciplinare al Vinitaly di fronte al neonato Istituto per la Tutela del Vermouth di Torino, che ha fra i suoi soci fondatori Berto (Distilleria Quaglia), Bordiga, Del Professore, Carlo Alberto, Carpano, Chazalettes, Cinzano, Drapò, Gancia, La Canellese, Martini & Rossi,  Sperone,
Torino Distillati, Tosti.

2020
Viene ratificato il Disciplinare a livello europeo. Nasce il Consorzio del Vermouth di Torino che avrà il compito di vigilare sulla qualità del prodotto. Ne fanno parte: Antica Distilleria Quaglia, Antica Torino, Arudi, Cav. Pietro Bordiga, Calissano – Gruppo Italiano Vini, Carlo Alberto, Carpano – Fratelli Branca Distillerie, Casa Martelletti, Giulio Cocchi, Chazalettes, Cinzano – Davide Campari–Milano, Del Professore, Drapò – Turin Vermouth, Erbe Aromatiche Pancalieri, Gancia & C., La Canellese, Luigi Vico, Martini & Rossi, Peliti’s, Giacomo Sperone, Tosti1820, Ulrich, Vergnano

 

 

 

 

 

 

Il Vermouth di Torino viene classificato in base al colore (Bianco, Ambrato, Rosato o Rosso) e alla quantità di zucchero impiegata nella sua preparazione.
Può essere: 

Extra secco o extra dry per prodotti che contengono meno di 30 grammi di zucchero per litro
Secco o dry per vermouth con meno di 50 grammi per litro
Dolce per quelli con un tenore di zuccheri pari o superiore ai 130 grammi per litro. Solitamente questa dicitura viene omessa in etichetta dando per scontato che la maggioranza dei vermouth bianchi, ambrati, rosati e rossi la ne contengano questa quantità.
Per l’edulcorazione è consentito l’uso del miele.

Il vino base deve essere esclusivamente proveniente da uve coltivate e vinificate in Italia.
Non si fanno distinzioni preferenziali fra vitigni e colore della bacca.

Il vino dovrà essere presente nella misura minima del 75% del volume totale.

Le artemisie pontico, gentile e romano devono essere coltivate e raccolte in Piemonte.

La quantità di artemisie dovrà essere pari o superiore a 0,5 grammi per litro.

Il grado minimo è 16 il massimo 22. Per il dry ed extra dry 18 gradi

Nella Vermouth Superiore il  titolo alcolometrico non potrà essere inferiore a 17% vol e dovranno essere realizzati con almeno il 50% di vini piemontesi e aromatizzati con erbe – diverse dall’assenzio – coltivate o raccolte in Piemonte.
Le erbe presenti nel Vermouth di Torino possono essere circa 100, tutte tradizionalmente usate nelle varie ricette dei produttori. Non è pertanto possibile creare aromatizzazioni che escano dalla tradizione.

E’ consentito l’uso del Caramello 150A e 150D o zucchero bruciato.

 

 

 

 

 

 

Vino senza indicazione di origine. 75% minimo a volume totale.
grado minimo 14,5 massimo 22
Presenza delle artemisie nella ricetta
Secco o dry per vermouth con meno di 50 grammi per litro
Dolce per quelli con un tenore di zuccheri pari o superiore ai 130 grammi per litro. Solitamente questa dicitura viene omessa in etichetta dando per scontato che la maggioranza dei vermouth bianchi, ambrati, rosati e rossi la ne contengano questa quantità.
Non ci sono tecnicamente limiti alle possibili aromatizzazioni.

 

 

 

 

 

 

L’Americano è un vermouth al bitter pertanto la parte amaricante dovrà avere obbligatoriamente la presenza della genziana o genzianella. E’ tipico un uso maggiore anche delle scorze di agrumi che però non viene legiferata.
Sono consentiti i coloranti per ottenere la tipica veste rossa.
Le restanti regole seguono quelle del vermouth.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Segue le regole dei vini aromatizzati di cui fa parte il vermouth con la sola differenza della presenza obbligatoria della china, sia essa Calissaya che Succirubra.

 

 

 

 

 

 

Gradazione minima 4,5 massima 14,4
Vino senza indicazione con presenza minima del 50% a volume.

 

 

 

 

 

 

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